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L’odissea di Elyas,
dall’Eritrea a Bellinzona

Giovedì 8 settembre 2016
Elyas è un ragazzino eritreo, fuggito dal suo paese e arrivato in Svizzera senza genitori a 14 anni, compiendo quel “Grande Viaggio” attraverso l’esperienza dei campi profughi, il pericolo dei passatori, la paura dei barconi.

A scuola il racconto della sua storia diventa un’occasione di riflessione e di crescita per tutti. Come affrontare dunque il tema delle migrazioni e dell’immigrazione con gli allievi?

Paolo Cortinovis ne ha parlato con la docente di scuola media Sultan Filimci.

Dov’è Elyas?
La sua Odissea non è finita !

Il Comitato cantonale dei Verdi si è riunito la settimana scorsa e ha trattato, quale tema principale della serata, il progetto di istituire in Ticino un centro educativo chiuso per minorenni. Raffaele Mattei, Direttore della Fondazione Amilcare e Membro del Comitato direttivo di Integras, ha presentato e approfondito il tema del centro educativo e durante la serata non è mancato il riferimento al tema dei minorenni che vivono in Ticino in strutture educative già presenti sul territorio.

Dalla discussione è emersa la volontà di intervenire in merito al tema dei giovani e i Verdi non mancheranno di seguire l’evolvere della discussione, non solo a proposito del centro educativo chiuso per minorenni – che ha lasciato estremamente perplesse le persone presenti – sia in termini di approccio alla realtà dei giovani in situazione di disagio, sia in termini di necessità (nel resto della Svizzera queste strutture costose chiudono).

Tra i diversi temi toccati vi è stato quello proposto con sensibilità e accuratezza dalla lettera aperta redatta da Francine Rosenbaum che vi proponiamo; pubblichiamo questa lettera, un breve tratto della storia di Elyas, nella speranza che presto a tante domande giungano appropriate risposte – interventi istituzionali adeguati nel rispetto di tutte le persone coinvolte, in primis Elyas.

Lettera aperta
Dov’è Elyas? La sua Odissea non è finita !

Venerdì 26 febbraio, nell’Aula Magna della Scuola di Commercio di Bellinzona, 4 allievi della 3° Media, aiutati dalle maestre Sultan Filimci e Romina Mengoni, ci hanno narrato L’Odissea di Elyas del loro compagno di classe quindicenne, dall’Eritrea a Bellinzona. Ma Elyas non c’era e nessuno ha parlato del motivo della sua assenza.

I ragazzi raccontano il suo periplo lungo un anno per tentare di ritrovare suo padre disertore dall’esercito eritreo. Non avendolo riacciuffato, la polizia ha arrestato la madre di Elyas in rappresaglia, rinchiudendola in prigione dov’è tutt’ora. Con un coetaneo, Elyas riesce a fuggire dall’Eritrea. Arriva in un campo di profughi in Etiopia dove per settimane chiede invano agli altri fuggiaschi se sanno dove sia finito il padre. Va in un secondo campo, poi in un terzo dove qualcuno gli dice che il padre è fuggito in Sudan per tentare di raggiungere l’Europa.

Allora il ragazzino Elyas si aggrega a un gruppo di esuli che affrontano il deserto del Sudan fino alla capitale. Sopravvissuto a questa seconda tappa, a Khartum viene aspirato dal vortice dei passatori. Elyas ha uno zio emigrato in Israele al quale i passatori estorcono un primo riscatto per trasportarlo in Libia. In questo terzo periplo, sopravvive alla fame, alla sete e alle razzie dei predoni beduini del deserto che rapiscono gli esuli giovani per ucciderli e venderne gli organi alle cliniche occidentali. In Libia altri passatori estorcono un nuovo riscatto allo zio per farlo salire su un barcone che riesce a non affondare nel Mediterraneo prima di raggiungere la costa italiana.

Con altri minori Elyas fugge dal centro di accoglienza, incontra due autisti di bus che li trasportano fino a Roma. Non sappiamo come sopravvive a Roma nè come arriva a Milano dove altri passatori, ancora una volta, estorcono soldi allo zio per farlo arrivare a Chiasso.

Nel nostro paese, il paese dei valori umani svizzeri, Elyas passa 3 mesi rinchiuso nel centro di richiedenti asilo di Chiasso. Si viene a sapere che ha un famigliare nella Svizzera romanda ma non gli viene permesso di raggiungerlo. Viene invece trasferito all’Istituto Von Menthlen a Bellinzona dove, oltre ad essere fisicamente accudito, può andare a scuola. Per alcuni mesi, grazie al competente sostegno delle sue due insegnanti e allo spontaneo calore umano dei compagni di classe, Elyas, che parla solo il tigrigno, riesce ad acquisire sufficenti parole per abbozzare con i suoi compagni una tenue traccia della sua Odissea.

Ma ha un chiodo fisso: vuole un cellulare per comunicare via skype con le sorelle rimaste in Eritrea e vuole lavorare per rimborsare lo zio che gli ha salvato la vita. Elyas, l’adolescente sopravvissuto e traumatizzato da un mondo di adulti folli, non si fida più di nessuno, manifesta delle turbe di comportamento, non rispetta le regole dei centri e scappa per ritrovare il famigliare o qualche membro della sua comunità di origine in Svizzera.

Per queste ragioni viene punito. La punizione istituzionale, che invoca lo scopo di insegnargli i nostri valori e costringerlo a integrarsi, è di trasferirlo di centro in centro. Ora Elyas è al Piano di Peccia, in cima alla Val Lavizzara, isolato dal mondo e dalla scuola, privato anche dalla possibilità di comunicare con qualsiasi persona umanamente significativa per lui.

Questa misura, applicata in nome dei nostri valori anche ad altri minori senza nessun legame famigliare e traumatizzati da un viaggio terrificante che presentano ovvie turbe del comportamento, costituisce un inequivocabile maltrattamento istituzionale misconosciuto dalla nostra società civile. Questa misura avrà delle gravissime conseguenze patogene che sfoceranno nell’auto- e nell’eteroagressione.  La mancanza di un accompagnamento psicoeducativo qualificato e intensivo è deontologicamente  indegna. Come operatori dei settori psicologici, educativi, sanitari e sociali dobbiamo reagire e non doverci vergognare e poi scusare 50 anni dopo della nostra complice indifferenza!

Francine Rosenbaum
Etnologopedista
http://www.etnoclinica.ch

Il viaggio al contrario,
da nord a sud verso i migranti

di Samantha Ghisla
Dal cuore dell’Africa o dell’Asia alle coste siciliane, l’odissea delle migliaia di persone che fuggono da guerre e carestie può durare anni, tra difficoltà, sofferenze e legami spezzati. Per capire i motivi che spingono uomini e donne a intraprendere questo percorso senza mete certe, a inizio luglio un gruppo di allievi delle scuole medie 1 di Bellinzona si recherà assieme a tre docenti a Mineo, in provincia di Catania. L’obiettivo è fare visita ai richiedenti l’asilo ospiti del centro siciliano C.A.R.A. per un vero e proprio viaggio al contrario da nord verso sud. Due, in particolare, gli stimoli che hanno ispirato la docente di italiano Sultan Filimci e gli allievi della 4E a intraprendere il progetto “In viaggio verso Mineo”. Come l’insegnante racconta a ‘laRegione’, da una parte un ruolo importante lo ha avuto l’esperienza con Elyas, un 14enne eritreo accolto lo scorso anno nella classe bellinzonese, la cui storia è stata presa a cuore dai compagni. «L’idea di recarci in Sicilia a visitare un centro di accoglienza è maturata nel corso degli ultimi 2 anni – spiega Sultan Filimci –. Elyas è stato nostro ispiratore inconsapevole perché ha fatto maturare in noi il desiderio di approfondire il tema dell’emigrazione. Argomento che abbiamo trattato nelle ore di italiano grazie ai romanzi “Non dirmi che hai paura” di Giuseppe Catozzella, “Nel mare ci sono i coccodrilli” di Fabio Geda e “Il mare davanti” di Erminia Dell’Oro». A ciò si è poi aggiunta la testimonianza portata a scuola da Stefano Ferrari, autore del documentario “Lo stesso mare”, realizzato nel 2015 per raccontare il percorso intrapreso dal regista dal Ticino fino al centro C.A.R.A. di Mineo per consegnare aiuti umanitari.

A partire per la Sicilia il prossimo 30 giugno saranno sei allievi della classe 4E, che rimarranno sull’isola fino al 4 luglio. Prendendo ispirazione dal viaggio di Stefano Ferrari, la classe ha iniziato a raccogliere alcuni aiuti umanitari – vestiti, scarpe, cinture ecc. – da portare in loco, dove gli allievi potranno contare sulla collaborazione dell’associazione Gim, una missione cattolica ideata dal ticinese Enos Nolli. «Lì intendiamo raccogliere alcune testimonianze e trascorrere del tempo con i richiedenti l’asilo adulti, ma anche con alcuni minorenni non accompagnati – sottolinea la docente –. Con quest’ultimi abbiamo in programma una gita sull’Etna per condividere le loro storie mentre passeggiamo». Le domande che i giovani provenienti da Bellinzona intendono porre riguardano in particolare i loro paesi di origine e i motivi che li hanno spinti a fuggire. «Cercheremo di comunicare con un po’ di francese e inglese. Inoltre io conosco il curdo», aggiunge Filimci. Attualmente è in corso il lungo lavoro di preparazione da parte del Comitato organizzativo per Mineo, creato appositamente per il progetto extrascolastico. Il tempo impiegato a stilare il programma e anche il soggiorno nel Sud Italia non rientrano infatti nell’orario delle lezioni. «Volevamo che ci fosse completa libertà di partecipazione», spiega Filimci. Dopo l’ottimo riscontro di mercoledì al Mercalibro, allievi e docenti torneranno con una bancarella benefica durante la prossima edizione in piazza Buffi mercoledì 7 giugno. In quell’occasione, oltre a raccogliere fondi per il viaggio, il gruppo proporrà ai presenti letture tematiche ad alta voce su xenofobia e razzismo.
articolo copiato da La Regione
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